Viaggiare non è solo cambiare luogo per incontrare nuove culture e persone. Si viaggia per affari, per riposarsi, per cambiare aria, per turismo ma soprattutto per conoscere meglio se stessi. Talvolta può diventare una fuga oppure la ricerca della libertà, come accade a migliaia di Italiani che, questi due ultimi anni, stanno emigrando all’Estero. Viaggiare offre l’occasione di prendere le distanze da certi luoghi, persone con cui siamo in crisi, o da situazioni diventate insostenibili. Qualsiasi ne sia la motivazione, viaggiare induce sempre un cambiamento di visione e di percezione. Il distacco geografico e fisico ci aiuta ad ampliare lo sguardo che poniamo sulle cose e le situazioni. Questo movimento verso un altrove esprime anche un desiderio di cambiamento. Viaggiare significa sempre lasciare qualcosa, che siano delle credenze, degli affetti o un paese. La prima tappa del viaggio è la partenza. Partire, dal latino partire, dal latino pars-partis, significa dividere, allontanarsi, separarsi. Per alcune persone la partenza è faticosa, perché si lasciano alle spalle il conosciuto, la sicurezza degli affetti, dei luoghi e delle abitudini. Per altre persone, significa rompere la routine, aprirsi all’ignoto, a stimoli nuovi e a mettersi in gioco. Comunque sia è un invito ad ritrovare quella parte più intima e vera del proprio essere, spesso dimenticata o diluita nella monotonia di una vita orientata al fare e all’avere. L’arrivo è probabilmente il momento più importante del viaggio in cui ci confrontiamo con il nuovo, con l’ignoto e con le nostre aspettative! L’arrivo ci chiede costante cambiamento e adattamento. Dobbiamo uscire dalla nostra zona di comfort. Se pretendiamo di portarci appresso i modi di vivere e di mangiare che avevamo a casa, il viaggio è solo una finzione. Se vogliamo frequentare soltanto i gruppi di connazionali o rinchiuderci in villaggi turistici, il viaggio rimane una finzione. Imparare alcune parole basiche di una lingua straniera crea nuovi percorsi neuronali e può essere motivo di gioco quando scopriamo “i falsi amici” di una lingua straniera. Mangiare i piatti locali è entrare nella cultura di un popolo, così come ascoltare o ballare la sua musica. Entrare nella cultura di un’altro popolo è un’opportunità di arricchimento personale ed un esercizio all’elasticità mentale. È scoprire nuovi aspetti di se stessi. Lo straniero diventa una estensione di noi stessi che non conoscevamo. Anche gli usi e costumi che possono sembrarci arretrati, strani, esagerati, curiosi possono insegnarci molto perché rompono i nostri schemi.
Il ritorno è la terza tappa del viaggio. Quando torniamo, non siamo più gli stessi di prima del viaggio. Non vedremo più le stesse cose alla stessa maniera. «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi» scrisse Marcel Proust. Il viaggio favorisce una forma di disidentificazione, e semina lo spazio mentale di nuovi paesaggi e prospettive, ampliando il campo della coscienza. Il viaggio geografico si fa viaggio interiore, sposando il pensiero di Mark Twain: «Tra vent’anni non sarai deluso dalle cose che avrai fatto, ma da quelle che non avrai fatto. Quindi molla gli ormeggi, esci dal porto sicuro e lascia che il vento gonfi le tue vele. Esplora. Sogna. Scopri».