Ricordo ancora come le parole del mio Maestro, il grandissimo dr Carl Simonton, ribaltavano il pensiero comune scientifico: “dobbiamo assolutamente studiare le persone che guariscono dal cancro, abbiamo molto da imparare da loro per capire le cause di questa malattia”.
Il più importante lavoro di documentazione sui casi di remissione spontanea pubblicati nella letteratura medica dalla fine del XIX secolo fino all’inizio degli anni Novanta del Novecento, è stato realizzato per l’Institute of Noetic Sciences (IONS) da Brendan O’Regan e Caryle Hirshberg. Il testo Spontaneous Remission. An Annotated Bibliography, pubblicato nel 1993, conta più di 3.500 riferimenti provenienti da oltre 800 riviste pubblicate in 20 lingue diverse. Di questi, 2.009 riguardano casi di neoplasie, 788 si riferiscono ad altre malattie e ulteriori 783 citazioni in appendice rimandano a report che danno una prospettiva storica del fenomeno e che avanzano conclusioni sulle cause di remissione, sia di tipo clinico e sperimentale che di tipo comportamentale e spirituale.
Da un po’ di anni alcuni medici solitari si sono lanciati nell’impresa di comprendere ciò che accomunano i guariti inspiegabili dal cancro, tra cui il dr Yann Tiberghien in Francia o il dr Sergio Signori in Italia, e probabilmente tanti altri. Si sono rivolti quindi alle persone “condannate” a pochi mesi di vita, e per cui la medicina non poteva fare più nulla. Queste persone, invece, non solo sono sopravvissute all’infausta prognosi, ma non hanno presentato più alcun segno fisico della malattia!
Nelle interviste i fattori comuni a tutti sono stati :
- L’importanza di assumere la responsabilità della propria salute. Non hanno più delegato a persone esterne il compito di guarirle, ma hanno ripreso in mano la loro vita, e deciso per se stessi senza farsi influenzare dai familiari o dai diktat del sistema.
- Hanno capito perché si sono ammalati e come il cancro si è rivelato per loro una opportunità di dare una nuova direzione alla loro vita. “Senza il cancro, non sarei vivo oggi” o parole simili sono emerse da molte interviste.
- Hanno accettato l’idea che la morte non fosse una cosa da evitare e quindi si sentivano “pronti”. Molti hanno anche avuto la percezione che la sfida della morte fisica diventava anche quella di fare “morire” una vecchia personalità disfunzionale per fare posto a energie creative soffocate o dimenticate. La malattia significava che si erano allontanati dalla loro vera missione di vita ma offriva loro un’opportunità di ritornare alla loro vera natura.
- Hanno compreso la necessità di cambiare i loro modi di pensare, le loro credenze e lo stile di vita.
- Hanno perdonato le persone da cui si ritenevano feriti o che avevano causato loro un grande dolore.
Conclusione: non dobbiamo aspettare che sia una malattia importante a renderci coscienti di chi siamo veramente. Dobbiamo ritornare ad essere filosofi. Infatti la maggior parte dei filosofi vivono a lungo. È importante darci delle risposte ai perché siamo al mondo, su questo pianeta, sul vero scopo della nostra esistenza… Siamo qui solo per mangiare, riprodurci, lavorare, guadagnare soldi, sopravvivere, essere una rotellina del sistema? Oppure per celebrare la magnificenza della Vita, dell’intelligenza e della creatività? Abbiamo acconsentito a che le aberrazioni della civiltà industrializzata ci omologassero e automatizzassero, contribuendo così ad una perdita di senso. Il cancro, come tante altre malattie gravi, potrebbe rivelarsi un richiamo alla verità e al senso del nostro essere al mondo. Leggi un altro mio post sull’argomento: http://bit.ly/cancroOpportunità