Il risentimento è uno dei sentimenti più radicati nell’essere umano e la filosofia buddista lo considera il frutto dell'ignoranza, della non perfetta ed assoluta consapevolezza di ciò che si è. È indubbiamente un veleno che logora e intossica innanzitutto il soggetto che lo prova anche se viene riversato sull’altro. Quando odiamo o proviamo risentimento verso qualcuno, tratteniamo questa persona nella nostra mente, la imprigioniamo in qualche modo, e la sua presenza, come un tarlo, rosicchierà la nostra energia. Odio e risentimento creano potenti legami energetici tra due o più individui, generando faide su più generazioni. Questi legami ci vincolano al passato e li potremmo metaforicamente rappresentare da cordoni ombelicali invisibili che veicolano continuamente pensieri ed emozioni distruttivi. Se non si interrompe questo circuito di alimentazione, tali sentimenti negativi possono nel tempo somatizzarsi, prima in forme blande (avvertimento), poi in forme drastiche (malattia).
Nella tradizione spirituale cristiana, esiste la pratica del perdono per liberarci da tali pensieri e liberare anche l’oggetto del nostro risentimento. Ma accade spesso che questo perdono formale sia illusorio e non cancelli totalmente l’idea di avere subito un torto. Nella mia pratica professionale di counseling, nei clienti si riaccendono spesso vecchi rancori che pensavano di avere superato.
Il perdono è un processo trasformativo. Consiste di più tappe: lasciare la presa, l’attaccamento all’idea di essere una vittima e poi lasciarla andare. Talvolta può trascorrere del tempo tra la prima e la seconda tappa. Esiste un‘ulteriore tappa che è difficile da raggiungere se prima non siamo passati attraverso la altre due precedenti.
L’essere umano prova sempre un forte attaccamento ai propri modi di pensare. Accade spesso che le persone non vogliano lasciare andare il marito, la moglie o il genitore che li ha feriti in quanto il risentimento diventa una forma di potere e di controllo su questa persona : “Qualcuno mi ha fatto molto male ed è colpa sua se soffro oggi” o manipolatoria: “Se sto male, punisco quella persona” oppure “Attiro la sua attenzione”.
Le pratiche meditative e la visualizzazione sono strumenti di grande efficacia sul piano terapeutico, come dimostrato da varie ricerche eseguito dal Dr Richard Davidson, all’Università di Wisconsin-Madison, nel campo della “neuroscienza affettiva” e dal Metodo dell’oncologo americano, Carl Simonton, che si ispira alla pratica buddhista della Compassione. “La nostra vera natura" - dice Carl Simonton - "è buona e compassionevole”. In realtà, sentimenti e pensieri negativi sono percezioni distorte legate al nostro “falso io”.
Cos’è la Compassione in verità? È la facoltà di guardare agli altri con equanimità, di comprendere che l’Altro è come me: un essere umano che gioisce e soffre, che si sente solo, felice o infelice, che ha successi o fallimenti, esattamente come me. Come insegna il Dalai Lama: “Gli esseri umani sono tutti uguali, fatti di carne, ossa e sangue. Tutti desideriamo la felicità e vogliamo evitare la sofferenza. Inoltre abbiamo tutti uguale diritto ad essere felici. In altre parole, è essenziale riconoscere l’uguaglianza degli esseri umani."
Così diventa naturale comprendere che la persona che ci ha fatto un torto, ha agito sotto gli stessi impulsi che riconosciamo in noi stessi come la paura, l’impotenza, l’insicurezza. Inoltre, la compassione deve applicarsi anche a se' stessi. Se c’è odio e risentimento nei confronti di qualcuno altro, c’è automaticamente odio indirizzato a se stessi. Sono gli individui che vanno perdonati non le loro azioni. La grazia del perdono non aspetta il pentimento di chi ci ha offeso per elargire il suo dono. Perdonare è l’unico modo per non sentirsi incatenati al passato e per aprirsi al futuro, perché il bisogno di giustizia non si può risolvere con il risarcimento del danno. Nel perdono si nasconde il mistero dell’accettazione incondizionata della Vita e quella della nostra guarigione.
Marie Noelle Urech